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- Massimiliano Romualdi
- 27 gen 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Scendo le scale, esco dal locale.
Saluto brevemente una carissima amica con un abbraccio, credo di averle chiesto una volta di troppo ‘come stai?’.
Inizio a camminare a passo svelto.
no, no, no. Rallenta mi dico. Che fretta hai?
Le mie palpebre si chiudono più lentamente del solito e il respiro si fa lento, stanco, quasi rassegnato. Il passo rallenta quasi come fosse al rallentatore, così la camminata non è più una camminata. Isolo il movimento, sono solo un’unità che muove aria intorno a me.
Dal brusio di fondo causato dal tutto, dal mondo, dalla vita degli altri, dalla strada, dal vento, dalla pioggia fine, tutto cessa, di colpo.
Entro in un nuovo stato.
Tutto tace, ma sento un rimbombo, profondo nella mia testa e nei miei polmoni, è il rumore dei condizionatori dell’edificio accanto. E’ un suono echeggiante, va e torna, in modo cupo, fa paura però mi piace.
Il mio udito vive una guerra di suoni e ora di colpo dopo un breve silenzio sento il forte ronzio di un neon bianco li vicino, freddo e apatico.
La strada è buia e bagnata da acqua e luce arancio dei lampioni, l’asfalto è morbido grazie alle foglie morte bagnate su cui cammino.
Non sento più il rumore dei miei passi e un fumo caldo esce dalla mia bocca.
E’ freddo ma non lo percepisco, quasi non ricordo nemmeno la sensazione.
2 minuti e mezzo, il tragitto.
Curvo sulla schiena a notte fonda scrivo queste righe, dimenticato da tutto, fuori da ogni cosa. _<Quanto può fare male il cuore di un uomo quando sente di non lasciare segni a nessuno.>_ Con il viso vicino al foglio, respiro e sento l’eco del mio fiato, con la penna in mano vedo queste parole, una dopo l’altra svanire.
E ricordo il profilo di quel vecchio signore illuminato da una debole lampada calda, ricurvo su se stesso a guardarsi le mani, il bicchiere di whisky appoggiato al bancone di legno, solo e tristemente dimenticato da tutti.

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